Come la nostra mente ci spinge a non mollare

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Come la nostra mente ci spinge a non mollare

La prima volta che tentiamo di suonare la chitarra, ballare il flamenco, ordinare un piatto in una lingua straniera, fare 60 vasche in piscina o correre 10 km, spesso proviamo una sensazione scoraggiante: la sensazione che ci sarà tanta strada da percorrere per riuscire a raggiungere con facilità questi obiettivi. La realtà è che la prima volta che proviamo a fare qualcosa di nuovo, soprattutto se è un qualcosa di complesso, ci accorgiamo che ci vorrà tanto tempo, pazienza e sacrificio per poter riuscire sentirci realmente sereni e a nostro agio nel metterli in pratica. E appena ci “scontriamo” con questa realtà spesso proviamo la forte tentazione di rinunciare e passare ad altri compiti/obiettivi che richiedono meno tempo e impegno. Tuttavia la nostra mente sembra aver ideato alcune strategie per “motivarci” e per spingerci ad andare avanti, a non mollare e non fermarci alla prima difficoltà.
Una dei queste strategie è stata indagata in uno studio recente, dove un gruppo di volontari è stato reclutato con la”scusa” di aiutare la popolazione di Haiti,da poco colpita dal devastante terremoto, partecipando ad una raccolta di vestiti da inviare nel’isola. A tutti i partecipanti, spinti dalla sola motivazione personale, veniva detto che l’obiettivo di quel lavoro era raggiungere la quota di mille vestiti raccolti.
I partecipanti sono stati quindi suddivisi in due gruppi. Ad un primo gruppo veniva fatto vedere che erano state raccolte solo 2 scatole di vestiti, , suggerendo l’idea che ci sarebbe stato molto lavoro ancora da fare per arrivare alla meta. Al secondo gruppo invece venivano fatte vedere 10 scatole di vestiti, suggerendo l’idea che il lavoro era ormai a buon punto. Ad ogni gruppo veniva quindi chiesto di stimare il numero di capi che erano già stati raccolti (quelli dentro le scatole). Il primo gruppo ha stimato, in media, 220 capi, mentre il secondo, quello delle 10 scatole, ha stimato 424 vestiti. Voi direte: quindi?
La parte interessante è che i ricercatori hanno reclutato un secondo gruppo di partecipanti, il cosiddetto gruppo di “controllo”, ai quali è stato detto che avrebbero semplicemente partecipato ad un esperimento sulla percezione delle quantità. Quindi i partecipanti di questo gruppo non erano spinti da nessuna forte motivazione personale.
Anche questo gruppo è stato suddiviso in due sottogruppi: il primo doveva stimare il numero di capi presenti in 2 scatole, il secondo in 10 scatole. Il risultato? I partecipanti hanno stimato in 94 i capi delle due scatole e 617 nelle 10 scatole.
Se guardiamo bene i risultati si vede come i partecipanti motivati che dovevano valutare le 2 scatole, quindi immaginando di avere davanti a sé ancora molto lavoro, hanno sovrastimato il numero di capi rispetto al proprio gruppo di controllo (220 vs 94 capi). Questa sovrastima sembra avere l’effetto di farci percepire l’obiettivo come più vicino e maggiormente raggiungibile. All’opposto, il gruppo motivato che doveva stimare le 10 scatole sottostimava il numero di capi rispetto al proprio gruppo di controllo (424 vs 617): come se, sottostimando i propri progressi verso la fine di un compito, le persone si mantengono motivate senza rischiare un calo di attenzione.
I ricercatori hanno quindi controllato questo effetto in diverse condizioni sperimentali e diversi compiti, ottenendo sempre gli stessi risultati.
Quindi quando le persone sono fortemente motivate a raggiungere un obiettivo o a portare a termine una richiesta, esse tendono a sopravvalutare i propri progressi all’inizio e a sottovalutarli verso la fine del compito. Questi errori di stima sembrano essere d’aiuto per fornirci la spinta motivazionale per andare avanti nei nostri compiti e non fermarci di fronte alle prime difficoltà. Mentre quando siamo verso la fine, il fatto di percepirci non ancora “abbastanza vicini” dalla conclusione ci permette di mantenere il giusto livello di concentrazione e non lasciarci distrarre dal risultato “quasi” raggiunto.
Questo studio dimostra come la nostra mente tenda a deformare la percezione della realtà al solo scopo di facilitare processi motivazionali e, di conseguenza, il raggiungimento di traguardi che riteniamo importanti. Anche se i partecipanti motivati in questo studio erano effettivamente meno accurati rispetto ai non motivati, questo “errore” percettivo serviva a qualcosa di più importante: raggiungere il proprio obiettivo.
Quindi sembra che a volte sia meglio non avere un’idea precisa di quanto lavoro c’è davanti a noi, o quanta strada dobbiamo ancora percorrere: a volte è davvero meglio non sapere. Invece lasciamo che la nostra mente ci spinga automaticamente verso il nostro obiettivo, utilizzando tutti i trucchi che ha a disposizione…