Il manager nel XXI secolo

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Il manager nel XXI secolo

Nel secolo scorso il manager possedeva conoscenze sia di tipo scientifico,sia tecnologico che organizzativo, in modo da poterle fondere insieme e creare processi innovativi e remunerativi, creando il knowledge management della grande impresa, riuscendo a “raccordare innovazioni di matrice tecnologico-scientifica a strutture organizzative capaci di dare stabilità ai processi industriali. Nel XXI secolo, l’epoca dell’ informazione, il nuovo manager è denotato per la saggezza più che per l’autorità, per il sapere professionale e per le capacità di problem solving, assicurando la leadership e il supporto professionale per attrarre, sviluppare e trattenere i diversi talenti

Manager di successoRiporto un estratto da un interessante articolo di Catia Polidori intitolato Per un nuovo stile di managerialità sui cambiamenti nei manager e nel management nel XXI secolo. Pubblicato sulla rivista online Vega (2005, 1(1)) l’articolo originale ed integrale è reperibile all’indirizzo http://www.unipg.it/vega/copyright.htm.

Il termine management è un termine inglese di origine italiana, proveniente da “maneggiare”, o meglio “maneggio”, termine utilizzato per la prima volta da Pacioli nel 1494 e divenuto poi “arte del maneggio” nel 1586 [cfr. Zan, p.13]. Le tendenze attuali vedono le direzioni aziendali d’accordo sul fatto che il successo e l’insuccesso si scommettono intorno alla capacità di attrarre e trattenere i collaboratori professionali, di saperli motivare e operare nel pieno rispetto dell’organizzazione, della sua cultura e dei valori con cui opera. Nell’epoca della concorrenza e del mercato globalizzato, quello che distingue un’azienda da un’altra non è più il prodotto, ma il modo in cui è presentato e venduto [Weizmann, Weizmann, 2001, p.19], per cui solamente collaboratori motivati  e pieni di energia possono produrre un servizio di livello superiore, raggiungendo standard di qualità che invitano i clienti a scegliere il bene-servizio di un’impresa piuttosto che quello di un’altra. La differenza oggi è fatta dalle persone che lavorano insieme al raggiungimento di obiettivi condivisi, diretti nel lavoro da professionisti che sapranno indirizzare verso la novità, che sapranno leggere nei movimenti del presente le tendenze del futuro, attuando una politica di valorizzazione dei collaboratori, delle capacità, competenze e creatività. Il lavoro dei manager all’interno delle aziende negli ultimi decenni ha subito una trasformazione.

Da detentore di una  certa quota di potere all’interno dell’organizzazione, conoscenze, expertise e capacità di prendere decisioni  importanti, il suo ruolo si è modificato,  diventando una figura senza più il controllo esclusivo sulle informazioni, ma un “coach”. Nel secolo scorso le conoscenze che possedeva erano sia di tipo scientifico, tecnologico che organizzativo, in modo da poterle fondere insieme e creare processi innovativi e remunerativi, creando il knowledge management della grande impresa, riuscendo a “raccordare innovazioni di matrice tecnologico-scientifica a strutture organizzative capaci di dare stabilità ai processi industriali” [Polidori, 2003, p. 69]; l’insieme delle conoscenze del management diventa la base per la crescita delle imprese e dell’economia in generale .
Nell’epoca dell’ informazione il nuovo manager è denotato per la saggezza più che per l’autorità, per il sapere professionale e per le capacità di problem solving, assicurando la leadership e il supporto professionale per attrarre, sviluppare e trattenere i diversi talenti (Weizmann, Weizmann, p. 107]. Rosati ne delinea il profilo: “esploratore della conoscenza, una persona che grazie alla formazione sa esplorare, decodificare significati, riflettere sul suo apprendere” [cfr. Rosati, 1995, p. 23].

Ormai è affermata nella letteratura manageriale l’interpretazione del termine “competenza” come la sommatoria delle conoscenze, delle capacità e dei comportamenti che una persona deve possedere per realizzare al meglio un ruolo. Un elenco di competenze manageriali indica ciò che un manager deve “sapere” (conoscenze); ciò che deve “saper fare” (capacità) e ciò che deve “saper essere” (comportamento).
Per tale motivo un buon manager  conosce l’importanza della formazione per i dipendenti, e quindi per le performance dell’intera organizzazione. Sarà quindi un promotore di formazione continua sia per i collaboratori che per se stesso e per la direzione. La formazione è infatti fondamentale per un’impresa che vuole continuare ad essere competitiva e contribuisce a soddisfare il desiderio dei lavoratori di mantenere elevato il proprio livello di employability.

Potremmo raggruppare  le capacità del manager  in quattro categorie principali:
1. Intellettive. Raccolta delle elaborazione di informazioni; analisi; concettualizzazione; valutazione; sintesi; problem solving; creatività; flessibilità di pensiero;
2. Relazionali. Disponibilità/ sensibilità ai rapporti interpersonali; comunicazione; a convincimento; negoziazione; leadership; gestione dei conflitti;
3. Gestionali/Realizzative; Programmazione; organizzazione (gestione del tempo); decisionalità; controllo; orientamento ai risultati;
4.  Emozionali ; stabilità emotiva e tolleranza; autocontrollo; fiducia in se stessi; equilibrio.

Per far fronte alla mutevolezza repentina del contesto economico, sociale e culturale contemporaneo, il manager deve comprendere inizialmente il ruolo fondamentale che una educazione di tipo continuo e costante può fornire al proprio lavoro e ai risultati conseguiti. Comprendere l’importanza dell’educazione permanente diviene il primo passo verso una sua attuazione. Scoperti i lati positivi, in termini di nuove acquisizione di conoscenze e, conseguentemente, di nuove competenze, di una educazione ininterrotta, sarà ragionevolmente stimolato a proporla ai collaboratori.

In un contesto in cui l’esigenza di nuovi apprendimenti è sempre più avvertita come necessaria, il metodo migliore per poterli attuare è quello di investire in formazione, che non sarà più un semplice momento di intervento finalizzato alle attività produttive. Attraverso la formazione, l’apprendimento acquista gli strumenti necessari per essere efficace e per contribuire alla maturazione del saper essere delle persone; formazione che diventa, in tal modo, uno dei percorsi con cui realizzare l’apprendimento organizzativo. Compresa la sua validità funzionale, è facile capire come la formazione, in ambito aziendale, diviene formazione permanente, “sottolineandone l’efficacia pratica e la piena realizzabilità nel mondo della realtà” [Rosati L., 2003, p.43].