Cambiare per crescere: il caso di una riorganizzazione guidata dall’intelligenza collettiva

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17 Giugno 2025

Cambiare per crescere: il caso di una riorganizzazione guidata dall’intelligenza collettiva

Cosa significa davvero fare change management in azienda? Non solo riorganizzare i ruoli o ridefinire le gerarchie, ma generare un cambiamento profondo, condiviso, consapevole. È questo il cuore dell’incontro tra Andrea e Pietro Giorgioni, HR manager di un gruppo IT in forte espansione, durante uno degli appuntamenti del martedì di Caffè con la Tigre.

Dalla crescita all’esigenza di evoluzione

La storia prende il via in un contesto molto concreto: una realtà che, in pochi anni, passa da 150 a 400 dipendenti. Una crescita così rapida mette inevitabilmente alla prova l’organizzazione, in particolare i team leader dell’area delivery, che si trovano a gestire fino a 25 persone ciascuno, spesso distribuite su più sedi.

Il primo tema emerso? La scalabilità. Come mantenere una relazione autentica e valorizzante con ogni collaboratore se i numeri esplodono? Come garantire percorsi di crescita individuali in un sistema che rischia di diventare rigido?

Il paradosso dei “capi tecnici”

La questione si intreccia con una dinamica comune a molte PMI italiane: chi diventa responsabile, spesso lo è perché è tecnicamente molto competente. Ma essere esperti non significa saper gestire persone. Così si crea un cortocircuito: manager operativi che restano dentro ai progetti anziché dedicarsi allo sviluppo del team, e collaboratori che ricevono poca guida e pochi feedback reali.

La svolta: co-creare il cambiamento

Invece di imporre una soluzione top-down, l’azienda ha scelto una strada più coraggiosa: coinvolgere direttamente le persone nel ripensare l’organizzazione. Un gruppo di circa 50 persone – rappresentativo di tutte le funzioni aziendali, inclusa la proprietà – ha partecipato a brainstorming, workshop e confronti anche accesi, per costruire insieme la nuova struttura.

Il risultato? L’introduzione di piccoli team multidisciplinari, ognuno guidato da un team manager (non più team leader) e supportato da figure trasversali chiamate technical expert. Un modello più snello, flessibile, adatto a crescere senza perdere umanità e visione d’insieme.

Manager di persone, non solo di progetti

Ma la struttura, da sola, non basta. Per funzionare davvero, il nuovo modello richiedeva un cambio di paradigma nei comportamenti e nelle competenze dei manager.

È nato così un percorso formativo intensivo, non solo tecnico, ma fortemente centrato sul self-empowerment: aiutare i team manager a sentirsi responsabili dello sviluppo del proprio gruppo, a comunicare con autorevolezza, a dare feedback efficaci (anche scomodi), a riconoscere il valore delle persone e accompagnarle nella crescita.

Un esempio? Un ex team leader ha rifiutato la nuova posizione perché ha riconosciuto che la dimensione manageriale non faceva per lui. Un gesto prezioso, perché autentico e possibile solo in un contesto dove la competenza tecnica è valorizzata quanto (e non meno di) quella gestionale.

La formazione funziona solo se ha senso per chi la riceve

Un altro ingrediente chiave? La forte attinenza con la realtà. Tutto il percorso è stato costruito su casi concreti, vissuti realmente dai partecipanti, per stimolare apprendimento, confronto, ownership.

Come ha sottolineato Andrea: “Noi adulti cambiamo davvero solo quando qualcosa ci tocca nel profondo, quando sentiamo che ha valore per noi. E per sentirlo, dobbiamo essere coinvolti fin dall’inizio.”